Consigli per la reclusione: anime e manga che riflettono su loro stessi
Originariamente, questo articolo avrebbe dovuto invadere la Cover Story del mese scorso in forma di omaggio al maestro Hideo Azuma, l’autore di manga come Pollon e Nanako SOS, scomparso qualche mese fa, dopo una vita tribolata tra la dipendenza da alcool e lunghi periodi di vagabondaggio (splendidamente raccontati, tra l’altro, nella sua autobiografia a fumetti Il diario della mia scomparsa).
Solo che poi, tra un motivo, l’altro, nella Cover Story non mi è riuscito di infilarlo, così ho deciso di prendere al balzo questa quarantena forzata, che ci costringe quasi tutti in casa, per tirare su un mazzo di opere relativamente recenti che raccontano il mondo e/o la vita degli autori di manga e anime. Attraversando le soddisfazioni offerte dal settore ma anche riflettendo sulle sue contraddizioni e i ritmi sparatissimi.
Prima di lanciarmi nel listone, segnalo che ho scelto di tenere da parte manga come 20th Century Boys o Billy Bat, che per quanto assolutamente meritevoli, puntano il mirino delle loro riflessioni metalinguistiche sull’indagine sociale e sulla natura umana, piuttosto che sul meccanismo che li ha sfornati (un po’ tipo Watchmen, toh!)
Così parto da Bakuman, manga nato dall’ennesima collaborazione tra Tsugumi Ohba (sceneggiatura) e Takeshi Obata (disegni), entrambi reduci dal grande successo di Death Note.
Pubblicata su Weekly Shōnen Jump dal 2008 al 2012, e arrivata dalle nostre parti grazie agli sforzi di Panini Comics, la serie racconta in maniera semi-autobiografica il viaggi di due aspiranti mangaka (un disegnatore e uno sceneggiatore, pensa un po’) dalle aule di scuola fino ai primi successi, e lo racconta prendendo a prestito il ritmo e le iperboli tipici degli shōnen.
Oltre a questo, Bakuman costituisce un prezioso punto di vista per prendere confidenza col linguaggio e le categorie del settore e per osservare da dietro le quinte i meccanismi della produzione di un manga. Nel corso della loro esperienza, i due ragazzi imparano cosa significhi avere a che fare con i ritmi e le scadenze della serializzazione, a negoziare con i compromessi proposti dagli editor, spesso cruciali per stabilire il successo o il fallimento di un’opera, e in generale a comprendere i meccanismi che mandano avanti il lavoro di una grossa casa editrice come la Shūeisha, che oltre a fornire il setting per l’opera, tira fuori anche camei di lusso tipo Kazuhiko Torishima, ex direttore di Weekly Shonen Jump, nonché leggendario editor di Akira Toriyama (se non avete idea di chi sia, sappiate che ha la stessa faccia del Dr. Mashirito, l’acerrimo rivale del Dr. Slump).
Tra gag-manga che si trasformano in shonen e viceversa, a fianco dei due protagonisti Akito Takagi e Moritaka Mashiro, Bakuman sfoggia tutta una serie di comprimari davvero indimenticabili nonché autori, a loro volta, di sfiziosissimi manga nel manga.
Segnalo che di Bakuman esistono anche una versione animata prodotta dallo studio J.C.Staff, spalmata su tre stagioni da venticinque puntate ciascuna, e persino un film in live action, uscito nel 2015 per la regia di Hitoshi Ōne (ma che, mani avanti, non ho mai visto).
Secondo nome della lista - ma non in ordine di importanza, anzi – è Shirobako, serie animata prodotta dallo studio P.A.Works, diretta in larga parte da Tsutomu Mizushima e scritta dal collettivo di sceneggiatori e sceneggiatrici racchiuso sotto la firma di Michiko Yokote (che nel corso degli anni ha messo mano, tra le altre cose, a Children of the Whales, ReLIFE, .hack//SIGN, Cowboy Bebop, Patlabor, e godzilioni di altre opere, tokusatsu compresi). In Italia, le ventiquattro puntate che compongono l’anime sono state distribuite da Yamato Video attraverso il canale YouTube Yamato Animation, per poi passare al palinsesto di Man-Ga.
Stando a Wikipedia, Shirobako significa letteralmente "scatola bianca", in riferimento ai video che circolano internamente tra i membri degli studi di produzione. E proprio di questo la serie parla: della vita, dei sogni e delle speranze dei componenti e collaboratori della Musashino Animation, studio fittizio con base a Tokyo, popolato in parte da veterani e in parte da nuove leve che bruciano dalla voglia di dire la loro.
Proprio come in Boris o Scrubs, con cui l’anime condivide alcuni cliché, il racconto corale passa per gli occhi dell’ultima arrivata, Aoi Miyamori, produttrice alle prime armi che coltiva il sogno di lavorare nel mondo dell’animazione fin dai tempi del liceo. E con lei le sue compagne di club, che pure compaiono nella serie in qualità di aspiranti animatrici, sceneggiatrici o doppiatrici.
Premesso che Shirobako si regge benissimo in piedi attraverso l’intrattenimento che offre, tra gag e comparsate d’eccezione (i membri della Musashino e la gente che gira loro intorno rivisitano, fin nei nomi, professionisti realmente esistenti), costituisce anche un magnifico strumento didattico - soprattutto agli occhi di noi occidentali - per decodificare le varie procedure degli studi e i ruoli professionali che li popolano. Dopo Shirobako, il mondo dell’animazione non vi sembrerà più lo stesso, soprattutto se partite come nabbi, tipo il sottoscritto.
Molto simile per concetto all’opera dello studio P.A.Works, ma decisamente più eccentrico nei toni e nella messa in scena, è Keep Your Hands Off Eizouken!, manga scritto e disegnato da Sumito Ōwara e serializzato su Monthly Big Comic Spirits a partire dal 2016. Nonostante sia ancora inedito in Italia, dallo scorso gennaio Crunchyroll ne sta trasmettendo in simulcast la versione animata, diretta da Masaaki Yuasa, uno fra i registi più interessanti degli ultimi anni, nonché autore di chicche come Ping Pong: The Animation, Devilman Crybaby e The Night Is Short, Walk on Girl.
È interessante che per mettere in scena l’approccio al mondo dell’animazione giapponese delle tre protagoniste - le studentesse Midori Asakusa, Sayaka Kanamori e Tsubame Mizusaki - Shogakukan e Warner Bros. Japan abbiano scelto di rivolgersi proprio a Yuasa, che tra gli spazi deformati e i movimenti espressionisti rimanda moltissimo al codice formale di certa animazione americana, soprattutto indipendente.
Eppure il risultato c’è. Anzi, è perfetto, sia quando la butta nello slice of life, sia (soprattutto) quando asseconda le follie e l’immaginazione delle tre ragazze. Assolutamente da non perdere, tanto più che la serie è ancora in corso e potrebbe tenerci compagnia fino alla fine di questo momentaccio.
Passaggio veloce su Spotted Flower, manga di Shimoku Kio nato come sorta di spin-off della sua opera precedente, Genshiken e, pubblicato sulla rivista femminile Rakuen Le Paradis. Veloce sia perché al momento non è ancora possibile recuperarlo in italia attraverso i canali regolari, sia perché la riflessione sull’industria dei manga è più che altro un sottofondo per gli intrecci romantici tra i personaggi o il tema della maternità. Tuttavia mi sento di consigliarlo per la sua rappresentazione senza peli della lingua del settore dei doujinshi erotici, nonché della cultura otaku in generale.
Chiudo la mia breve carrellata proprio con Hideo Azuma, invitandovi a recuperare assolutamente Il diario della mia scomparsa, pubblicato in Italia da J-POP e premiato all’ultimo Lucca Comics & Games con il “Gran Guinigi per la riscoperta di un'opera”. Anche in questo caso non siamo di fronte a un’opera che riflette nello specifico sul mestiere di fare manga, anche perché per la maggior parte del tempo è ambientata per strada o tra le mura di un reparto psichiatrico. Eppure, sui tentativi di suicidio, sulle fughe matte e sulle dipendenze del protagonista è impossibile non veder scendere l’ombra di un settore severissimo, capace di spingere coloro che lo praticano sull’orlo del baratro.
Sia che abbiate amato i lavori di Azuma da bambini, sia che li incrociate qui per la prima volta, Il diario della mia scomparsa è un manga prezioso anche in via del suo linguaggio pulitissimo; all’apparenza semplice, eppure in grado di raccontare il disagio mentale e i pensieri ossessivi come poche altre opere.