I soliti sospetti, cinque criminali per un film senza tempo
I soliti sospetti (The Usual Suspects in originale) esce un po’ a macchia di leopardo tra l’estate e l’autunno del 1995, curiosamente prima in Francia (se escludiamo la proiezione al Sundance Film Festival) che in USA, dove arriva solo a settembre. In Italia, sbarca nelle sale solo a fine Novembre e, con estrema colpa, confesso che ho perso la visione al cinema. C’è da dire, però, che la locandina, che mi ha sempre intrigato, mi ha convinto ad acquistare il DVD alla sua uscita, a prezzo pieno, senza sapere quasi nulla della trama, per fortuna.
I soliti sospetti è il film che ha lanciato definitivamente le carriere del regista Bryan Singer, di Benicio del Toro e soprattutto di Kevin Spacey, mentre tra i coprotagonisti troviamo anche un oscuro Gabriel Byrne (che in quel momento era forse l’attore più di nome del gruppo) e un sorprendente Stephen Baldwin, oltre a Kevin Pollak e al mitico Chazz Palminteri.
La pellicola diretta da Singer, vincitrice per altro di due oscar (miglior attore non protagonista a Kevin Spacey e migliore sceneggiatura originale a Christopher McQuarrie, a sua volte regista dei due ultimi Mission: Impossibile) si dipana come un lunghissimo flashback, raccontato da Verbal Kint (Kevin Spacey).
Il buon Verbal racconta all’agente federale Dave Kujan (Chazz Palminteri) del piano in cui si è ritrovato suo malgrado invischiato con gli altri delinquenti, costretti tutti a un colpo rischiosissimo dal fantomatico Keyser Söze, a cui in passato avevano fatto degli sgarbi imperdonabili. Verbal racconta il mito di questo criminale leggendario, un uomo così crudele e deciso da essere addirittura uno spauracchio tra i balordi come lui.
Ora, se non avete visto il film, vi chiedo di fermarvi qui, andare a cercarlo in qualche servizio streaming o prendere il DVD/BR e guardarvelo, perché da qui in poi ci sono spoiler che rovinano completamente la visione a chi non ha ancora avuto il piacere di goderselo. E se non l’avete ancora visto, spero che siate tornati da un viaggio interplanetario durato qualche decennio.
Sicuri? Nessuna paura di spoiler?
Allora proseguiamo.
I cinque malavitosi si incontrano per la prima volta in un confronto all’americana, perché pare sia sparito un camion pieno zeppo d’armi e loro sono i principali sospettati. Già da subito, tra gli stessi criminali sorge il dubbio che quella sia solo una pantomima, in quanto nessuno di loro assomiglia all’altro e solitamente, in questo tipo di confronti, uno è un delinquente vero e gli altri sono poliziotti che servono solo da figuranti.
Keaton (Gabriel Byrne) è il sospettato principale dell’agente Kujan, ma sia lui che gli altri quattro (Fenster/Del Toro, Hockney/Pollak, McManus/Baldwin e appunto Verbal/Spacey) vengono rilasciati. Da lì a poco, formano una banda che inizia una nuova carriera criminale.
Sembra tutto andare per il meglio, quando nelle loro vite irrompe l’avvocato Kobayashi, emissario di Keyser Söze (che loro non incontrano mai di persona), avvertendoli che il suo capo sa chi sono e cosa gli hanno fatto in passato: se vogliono salva la vita, devono portare a termine la missione rischiosissima di cui si parlava prima.
Tutto questo viene raccontato da Verbal all’agente Kujan, durante un lunghissimo interrogatorio in cui il malvivente, con metà parte del corpo semi paralizzata, tenta in tutti i modi di scagionare sia lui sia Keaton, che Kujan continua a pensare sia il vero Söze e la mente diabolica dietro a tutto il piano. Il motivo per cui è Verbal colui che sta raccontando tutto è che è l’unico sopravvissuto della missione che lui e i compari sono andati a compiere. A loro era stato detto che si trattava di un carico di droga enorme, roba da milioni, ma in realtà scopriranno che è una caccia al testimone, l’unico essere umano a conoscere la vera identità di Keyser Söze.
Ma Verbal non è realmente l’unico superstite. In un ospedale, non lontano, c’è un uomo terribilmente ustionato, che al solo sentire il nome di Söze quasi impazzisce, ma acconsente a essere interrogato e, pur tra mille sofferenze dovute alle ustioni, a deporre per un identikit.
La trama de I soliti sospetti è avvincente, ma se si fermasse qui, per quanto il racconto di Verbal tenga sulle spine sia l’agente Kujan sia noi, sarebbe un gran bel film di malviventi e sparatorie e basta.
Quello che cambia tutto, ovviamente, è il finale, in cui scopriamo che le due ore di pellicola che abbiamo appena visto altro non sono che pura fantasia. Verbal (forse) si è inventato tutto, improvvisando una storia tanto avvincente quanto esagerata (Keyser Söze viene dipinto come una sorta di semidio del male), prendendo spunto da quello che stava vedendo nel momento dell’interrogatorio con Kujan. Foto segnaletiche sulla bacheca, città sulla mappa appesa al muro, addirittura la marca della tazzina da cui stava bevendo il caffè, tutto ha contribuito a creare persone, luoghi, società del racconto.
Nessuno, neanche noi, sappiamo cosa sia veramente successo la notte della missione, nessuno è in grado di sapere se mai i cinque personaggi abbiano veramente fatto quello che Verbal dice. Nulla è vero. O forse tutto.
L’unica cosa che si sa per certo, e l’identikit che arriva fuori tempo massimo lo conferma, è che Verbal è Keyser Söze (forse).
Come detto, I soliti sospetti ha fatto la fortuna di diversi attori e del regista che qualche anno dopo avrebbe dato il via alle fortune dei film sui supereroi con il primo X-Men.
E come ogni film culto che si rispetti, anche I soliti sospetti ha un buon numero di curiosità da raccontare. Nella scena del confronto all’americana, dato che gli attori non riuscivano a rimanere seri , Singer, esasperato, li ha lasciati liberi di pronunciare la frase che gli viene dettata dal poliziotto come meglio credevano, improvvisando. Sia Baldwin che Del Toro hanno pensato bene di fare i cretini e le risate che si vedono durante il film sono risa vere, che Singer non ha tagliato. Molto più inquietante la frase detta da Verbal.
Nella scena in cui l’avvocato Kobayashi racconta di essere un dipendente di Söze, consegnando dei fascicoli personali ad ognuno dei cinque criminali, l’ordine con cui consegna i documenti è l’ordine con cui verranno uccisi. Visto il successo de I soliti sospetti, Kevin Spacey chiese a David Fincher di non apparire nei titoli di testa di Seven (uscito poche settimane dopo), perché gli spettatori avrebbero potuto capire troppo della trama.
Insomma, se non si fosse capito, I soliti sospetti rimane per me un film pazzesco, che invecchia benissimo ogni giorno che passa e che, pur conoscendo il finale, devo rivedere ogni tanto per ricordarmi come si scrive una sceneggiatura con le palle.
“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a The Irishman e al crimine, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.