Il vero finale
Centinaia di scagnozzi uccisi, amici persi in battaglia, tradimenti inaspettati e rivelazioni inquietanti, ma finalmente sono di fronte alla mia nemesi ultima, il nemico definitivo. Lo batto, lo umilio pure, titoli di coda. Però non è finita. Si, vabbe’, hai battuto il primo stronzo di passaggio, ma il gioco vero comincia adesso, niente bollino di qualità per te.
Il finale vero, quello che richiede altre cinquanta ore di gioco, sta diventando una consuetudine nei videogiochi. Nato come un premio per le persone senza una vita, sta assumendo sempre più spesso la forma non di supplemento (come dovrebbe essere) ma di parte centrale e importante dell’avventura. E a me non piace.
Mi sta benissimo che esista, intendiamoci, è fantastico permettere a persone che hanno voglia e tempo di approfondire un gioco che esista una parte aggiuntiva e, magari, più impegnativa, quello che mi disturba è che vada in qualche modo a rendere meno gratificante la mia. La parte extra deve avere gambe proprie, una sua missione esclusiva, non banalizzare il primo finale perché, di fondo, non conta.
Nella mia lettura, i titoli di coda sono anche un modo dello sviluppatore per far chiudere il cerchio a quelli, come me, che vogliono passare ad altro, un bat-segnale per avvisarmi che il dado è tratto, quello dopo lo lasciamo a quelli bravi. Tutto, però, perde di significato se trasformi quel finale in un primo tempo.
Questa volta ho anche la soluzione, molto semplice a dire il vero: sposta la seconda parte, il vero finale, su un arco narrativo diverso. Fammi tornare a casa, spaparanzato su un salotto con pizza e birra, e chiedi al giocatore se vuole ripartire per uccidere il fratello del boss finale. Dai lo stesso premio ai completisti, non togli nulla a me.