Essenziali: Tra le nuvole e il cinema di Jason Reitman
Tra le nuvole (Up in the Air) è un film del 2009 (!!!) diretto da Jason Reitman (il figlio del regista dei Ghostbusters belli). Il film ha per protagonista Ryan Bingham (George Clooney), uno che lavora per una società che “lo affitta” a vigliacchi che non hanno le palle di licenziare i propri dipendenti. Insomma, l’unico lavoro con un po’ di prospettiva nel 2009 americano e non solo.
Ryan, tuttavia, non è una persona cattiva, deviata o sadica. Ryan è una persona inusuale, un professionista che ha trovato il suo posto nel mondo viaggiando trecento giorni l’anno a licenziare dipendenti altrui, e svolge il suo lavoro mosso da uno spirito che fa quasi rabbrividire tutti quelli che lo confrontano a riguardo. In un qualsiasi altro campo del professionismo, si direbbe che uno così nasce una volta ogni cinquant’anni, almeno. In questo senso, è da sottolineare lo scambio di battute tra Ryan e Natalie (Anna Kendrick), giovane rampante collega che vive il lavoro in maniera molto più pragmatica e analitica. Dovendo definire la mansione del tagliatore di teste, lei la riduce in “aiutiamo chi perde il lavoro nella dura ricerca di uno nuovo, minimizzando le ripercussioni legali”, mentre lui, con la solita flemma Clooney che ti fa dubitare di essere eterosessuale™, ribatte “rendiamo tollerabile il limbo, traghettiamo povere anime ferite attraverso un fiume di paura fino al punto in cui la speranza è ridotta a un barlume… poi fermiamo la barca, li gettiamo in acqua e li facciamo nuotare”.
Ryan è un uomo con una missione, una persona che sa quello che vuole al punto di tenere dei discorsi motivazionali in cui spiega la sua filosofia di riduzione degli impegni, dei “commitment”, di come ridurre al minimo il peso del proprio zaino, nel senso più metaforico possibile, al fine di mantenersi in grado di viaggiare e fare quello che fa.
Portarsi dietro il peso di oggetti materiali, le auto, i mobili, i suppellettili, le case… costruire rapporti interpersonali pesanti, tra amici, parenti, fidanzate con cui tenere segreti, compromessi, litigare: un peso inutile, dannoso, che finirà per segarci le spalle e tenerci ancorati per terra. Ci sono animali destinati a sopportarsi per sempre, in simbiosi l’un l’altro, come i cigni monogami. Ma noi non siamo cigni. Più lenti ci muoviamo, più velocemente moriamo. Noi, nella visione di Ryan, siamo squali, e lui è sicuramente il leader del branco.
Una vita ai limiti dell’impossibile per chiunque, tanto che la stessa società per cui lavora si è subito adoperata per mettere in pratica il piano di Natalie di ridurre i costi dell’85%, togliendo tutti i tagliatori di teste dalla strada e facendoli lavorare dall’ufficio, al costo di una semplice connessione in fibra ottica. Niente più viaggi trecento giorni l’anno, niente più coincidenze perse, niente più spese folli in polizze assicurative, niente più rimborsi spese e, soprattutto, niente più natali in qualche aeroporto sperduto nel buco di culo degli States.
Una soluzione brillante sulla carta, che tuttavia dimostra ancora una volta la distanza tra chi il lavoro lo studia bene, ottenendo il massimo dei voti all’università, e chi invece il lavoro lo fa da anni, con un metodo che non sarà particolarmente cost-effective ma è forse l’unico modo per mantenere la dignità e il senso di qualcosa di orribile. E, d’altronde, non è un caso che “lasciarsi via messaggio” sia diventato uno dei demoni delle telecomunicazioni moderne in tempo di record.
Due visioni completamente opposte, quelle di Ryan e Natalie, che dovranno convivere spalla a spalla nelle poche settimane prima che il licenziamento over IP diventi ufficiale, al fine di convincersi reciprocamente della bontà delle loro idee o, semplicemente, che non esiste un solo modo di vedere il mondo. Settimane di viaggi in giro per gli Stati Uniti a licenziare poveri malcapitati, in cui la grandezza della scrittura di Reitman e Sheldon Turner (il film è tratto dall’omonimo libro di Walter Kirn, ma a quanto capisco da Wikipedia, i punti in comune a livello di trama non sono moltissimi) arriva magistralmente a ogni battuta, a ogni scambio di sguardi e grazie alla costruzione di ogni singola scena.
Tutto, nel film, è davvero pazzesco. Non solo George Clooney mette in scena un personaggio sempre sul confine tra l’esecrabile e l’invidiabile (un po’ à la Don Draper, per i cultori), capace di piazzare uno one liner di cruda realtà dopo l’altro; ma la sua evoluzione, portata avanti grazie al dualismo costante con l'arrivismo sognante di Anna Kendrick, un rapporto da riallacciare con la famiglia pseudo-disfunzionale e a una relazione “on the go” con Alex (una Vera Farmiga dolorosamente bella e scenicamente catalizzante), culmina con una scena di una potenza inaspettata, grazie a una regia e un montaggio davvero inappuntabili.
Up in the Air è, per quanto mi riguarda, uno dei film più belli degli ultimi dieci anni, nonché probabilmente il punto più alto di un regista che, per usare le parole dell’immortale Roger Ebert, “makes smart, edgy mainstream films. That's harder than making smart, edgy indies”, mantenendo sempre una qualità che levati. Voglio dire, il figlio di Ivan è uno che come opera prima ti sforna un Thank You for Smoking che, al di là di qualche piccolissima sbavatura in fase di scrittura, tecnicamente non sbaglia nulla (oltre a proporre un protagonista tutto cazzimma un po’ à la Bingham) e subito dopo un Juno che fa sciogliere i cuori di tutti, nonostante Michael Cera e quell’estetica spaccamaroni da Sundance che sta lì solo per illudere i fan della roba Sundance (per fortuna). E, soprattutto, è uno che dopo Up in the Air mette a referto Young Adult (di nuovo scritto da Diablo Cody, come Juno) mettendo in scena una Charlize Theron “stronza del liceo che crescendo è rimasta stronza, senza cambiare sostanzialmente di una virgola” alle prese con lo stronzeggiare una volta tornata a casa dalla grande città. Le ultime due pellicole del regista, Un giorno come tanti (Labor Day) e Men, Women and Children, sono state quelle più bastonate dalla critica, forse per il cambio di tono generale e una certa qual “pesantezza” nelle vicende, anche se è stato un bastonamento tutto sommato un po’ miope: la bravura di Reitman dietro la macchina da presa è e rimane innegabile (voglio dire, nel secondo film è riuscito a far recitare Adam Sandler), e alcune immagini mostrano davvero tutto il manico di uno dei migliori registi attualmente sulla piazza.
Aspettando di sapere qualcosa di più su Tully, prossima pellicola del regista in arrivo quest’anno che vedrà il ritorno del sodalizio con Diablo Cody, non resta che andare su Netflix e recuperare tutta la filmografia del figlio d’arte canadese preferito di Outcast.