La casa delle bambole - Ghostland è un horror abbastanza ingannevole
Solo a guardare fuori dalla finestra di casa mia a Palmi, Reggio Calabria, si percepisce chiaramente l’intensità con cui splende e picchia un sole non proprio ottobrino; c’è addirittura qualche mitomane, mi hanno riferito, che ancora si ostina ad andare al mare, e quasi lo invidio. Per me, invece, l’estate è finita da un pezzo. A queste latitudini più che altrove, dove per davvero non ci stanno più le mezze stagioni, concetti come quello di “estate” sono molto vaghi e soggettivi, dipendendo più che altro da routine che, in un momento indefinito fra settembre e ottobre, ricominciano ad assestarsi. Sì, sto divagando, ma tutto questo è per dire che, da due anni a questa parte, per me l’arrivo della stagione autunnale è contraddistinto, fra le tante, anche dal cervello che inizia ad arrovellarsi ogni qual volta si palesa, puntuale, la mail di giopep che comunica il tema della prossima Cover Story su Outcast.
In tal senso, non sono esattamente fra quelli che si sbattono di più su queste pagine, però, quando posso, cerco sempre di dare il mio contributo; e farlo è davvero stimolante, perché nella maggior parte dei casi non so mai cosa scrivere, e quindi penso, penso e penso, fino a che, magari, mi vengono in testa idee che mi attivano, facendo scattare una molla che mi porta a rileggere vecchi libri dimenticati o dare uno sguardo a film destinati altrimenti a cadere nel mio personale oblio. O magari a leggerne e guardarne di nuovi, di libri e film. Tipo in questo caso, con La casa delle bambole – Ghostland, l’ultimo horror di Pascal Laugier, comparso di recente sul palinsesto di Sky, dopo essere transitato, lo scorso dicembre, nelle sale italiane. Ecco, poche righe fa scrivevo che la questione della Cover story è stimolante, e mi porta il più delle volte a spingermi più in là, a fare il meglio possibile eccetera; solo che stavolta credo di aver fatto un buco nell’acqua: La casa delle bambole - Ghostland non parla infatti di fantasmi, legittimando addirittura il titolo italiano (che lascia in coda, nascondendolo dopo il trattino, il titolo originale, Ghostland appunto).
In realtà, i fantasmi ci stanno pure, a un certo punto, più o meno, ma non credo sia opportuno approfondire questo aspetto, dato che ne La casa delle bambole ogni dettaglio, in tal senso, potrebbe scadere nello spoiler. Basti sapere che si tratta di un horror abbastanza atipico, seppur ricalchi certi stilemi come quello della home invasion o in certi suoi richiami a Lovecraft, inserendosi in tal senso perfettamente in linea con quell’ondata di horror francesi dell’ultima che, nell’ultimo decennio, stanno portando per davvero una ventata d’aria fresca al genere – penso a Raw di Julia Ducournau oppure a Martyrs dello stesso Laugier. Ed è proprio rispetto a Martyrs che, a quasi dieci anni di distanza, Laugier attua un netto ribaltamento, razionando in questa sua nuova uscita quella violenza esasperata che dieci anni fa lo fece salire alla ribalta internazionale, trasformando il dolore in qualcosa di intimo e, in certe reazioni, quasi infantile, che muta lentamente in qualcosa di irrazionale.
Si comincia da un viaggio in famiglia, con madre e le due figlie adolescenti a seguito; uno spunto di trama che quasi si consuma interamente nella sua mezz’ora iniziale e che coincide con la parte più debole del film. È seccante non poter approfondire di più, ma il rischio di spoiler è alto. Il problema della debolezza, in questo frangente, se di problema si può parlare, risiede infatti nella struttura messa in piedi dal regista, che quasi finisce per consumare La casa delle bambole proprio in questa sua prima mezz’ora, o almeno dando quest’impressione; perché, poi, Ghostland inizia a rivelarsi per quello che è, ovvero un horror ragionato in ogni suo più piccolo dettaglio, pronto a dipanarsi lentamente, a dispetto di un ritmo a tratti forsennato. Le vere magagne de La casa delle bambole risiedono infatti in un impianto estetico che fatica a distaccarsi dal canone degli horror americana di fascia media, e se con l’incedere della pellicola, buona parte di questa sua estetica viene assimilata e inglobata dalla sua narrazione fluida, nella prima parte fa scadere la maggior parte degli eventi raccontati in quel campionario di situazioni a metà fra l’orrorifico e il demenziale, complice poi la propensione strutturale del film nel non cercare di far paura in maniera convenzionale – e con tanto di mezza citazione allo speciale di Halloween dei Simpson con Ugo, il fratello segreto di Bart. Superata questa fase, La casa delle bambole spicca tuttavia il volo, anche se un po’ di cura in tal senso era lecito aspettarsela, specie per gli spunti putridi e perversi che, da metà pellicola in poi, il film dimostra di avere, seppur non esplorandoli a dovere.
A pensarci meglio, forse, se proprio volevo parlare di un horror in tema con la Cover Story di questo mese, avrei potuto parlare di Two Sisters di Kim Jee-woon; lì i fantasmi c’erano per davvero, e avrei fatto una figura migliore, passando per l’hipster di turno che parla benissimo di un film sudcoreano, ma tant’è.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Luigi e ai fantasmi, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.