LEGO, guida per diventare dei moderni Padre Pio
Potrei parlarvi di come ho buttato via soldi non resistendo ad Alarmo, il nuovo hardware di Nintendo che tanto ha fatto sperare alla gente nel successore di Switch, portando al pubblico una sveglia nemmeno così rivoluzionaria, o come alla presentazione di ogni mini console il mio portafoglio fosse già disperato prima ancora di comprare l’oggetto in questione, di quanti soldi ho speso in concerti o nella ricerca di quel singolo, EP o LP sul peggio sito che “fidati tu a inserire il numero di carta di credito”. Oggi, però, voglio parlarvi di un vizio che ormai ha sopraffatto la mia forza di volontà in maniera irreversibile, ovvero quando mi trovo davanti all’ennesimo set LEGO e senza nemmeno rendermi conto ho già la conferma d’ordine nella casella email, senza manco passare dal carrello o dal checkout.
Ma partiamo da dove tutto ha inizio, più o meno nei primi anni Novanta, dove ovviamente, come qualsiasi bambino cresciuto dagli anni Ottanta in poi, possedevo un cestone pieno zeppo di mattoncini colorati, cimitero di tutti quei set regalatimi dai miei genitori ogni 13 dicembre (sempre a Santa Lucia, perché da buon bergamasco i doni di fine anno non li portano né Babbo Natale né Gesù Bambino, ma una Santa a cui presumibilmente cavarono gli occhi); mattoncini coi quali costruivo le più improbabili astronavi, castelli, automobili e ambientazioni capaci di occupare ogni singola superficie disponibile dell’allora mia cameretta, con grande disappunto di mia madre. Pomeriggi interi passati a progettare, costruire e ingegnerizzare agglomerati di costruzioni, il cui risultato finale non aveva poi una gran durata, pronto a venir rapidamente smontato, rielaborato o ristrutturato in base a quello che la mia fantasia suggeriva. Probabilmente, non essendo mai stato un bambino tranquillo e capace di grande concentrazione, afflitto da una leggera forma di ADHD sottolineata da ogni insegnante ma mai diagnosticata vista l’epoca in cui era un’onta mandare un bambino da uno psicologo, soprattutto nelle stoiche lande da cui provengo, i videogiochi e soprattutto le costruzioni in questione erano tra le poche cose capaci di totalizzarmi, dando tregua sia a me che ai miei genitori (e a quelli dei miei amici quando andavo a casa loro, poiché cospargevo il pavimento con migliaia di pezzi, rischiando addirittura di perforare i piedi di quelle persone tanto pazienti). Provarono anche a regalarmi varianti più “adulte” di costruzioni, come il Meccano, o cercarono di distrarmi con i Playmobil, ma questi ultimi per me rappresentavano solo il male, un qualcosa di totalmente sbagliato.
Scorrono gli anni e passò pure l’infatuazione per questo passatempo, vuoi perché con l’adolescenza e altre attività extra ludiche si trovavano altre cose molto più interessanti, vuoi perché in avvio di millennio ci sono stati gli anni più bui per LEGO, perciò fino a una decina di anni fa le nostre strade furono separate. Ma poi intervenne (come al solito) mia madre, la persona che più di tutte fu vittima (e soluzione) della mia allora passione per “le costruzioni”: un Natale, durante il consueto pranzo di famiglia, regalò al figlio di mia cugina un piccolo set, nemmeno uno di quelli tanti complessi o arzigogolati, si trattava solamente di un’astronavetta, ma il rimettermi ad assemblare assieme a lui quei mattoncini, unendoli uno a uno, mi fece risalire quella scimmia che non sentivo da anni, risprofondando in quel baratro da cui ormai pensavo di essere fuggito.
Passarono neanche due settimane da quell’evento che già avevo ordinato non uno, ma ben tre set. Non selezionati a caso, perché salendo sul sito ufficiale di LEGO scoprii con enorme stupore che collaboravano con dei brand dal fascino irresistibile per una persona labile come il sottoscritto. Cioé, una di queste linee era dedicata a GUERRE STELLARI! E via, ordinai un Millennium Falcon, un camminatore AT-ST e siccome bisognava buttare via ulteriori soldi pure un ST149 (la navicella spaziale di Orson Callan Krennic, il “Megadirettore imperiale della ricerca sulle armi avanzate” di Rogue One). Diciamo che il mio rientro nel mondo LEGO non è stato per nulla morbido, ricadendoci dentro con tutti e due i piedi, manco fossi stato Gollum una volta ritrovato l’Anello, o peggio, un eroinomane col metadone.
Non sono mai riuscito a spiegarmi il debole per questi “diorami”, questi mondi in miniatura hanno sempre calamitato la mia attenzione, forse anche per questo citazionismo spinto nei confronti di quelle saghe che mi hanno cresciuto, creando un effetto di nostalgia misto a novità che innescano un rilascio di dopamina da farmi sentire fin troppo bene, al di là delle finanze che prendono il volo per continuare ad alimentare questa sensazione.
Infatti, la mia avventura continuò con il Castello di Hogwarts, la caserma dei Ghostbusters, le due varianti delle Batmobili del 1966 e 1989 e delle Ecto-1, altri “suppellettili” e quadri… il leitmotiv che legava tutti questi acquisti era di certo il non avere prezzi umani. Ma basta con questi listoni noiosi, perché a continuare così pare più voler flexare (come sono g-g-giovane) i propri acquisti che voler parlare di un problema, benché consapevole, da monitorare con cura.
Quando comprai casa mi ritrovai pure a discutere con l’arredatore per progettare mensole su misura per poterci posizionare i set in una determinata maniera, praticamente la mia vita si era ormai strutturata in funzione di questi e futuri “acquisti compulsivi” che invero continuano ad essere regolarmente perpetrati.
Pensandoci bene, questo però non è nient’altro che il frutto della disponibilità economica che quelli della mia generazione sfoggiano, soprattutto se non hanno messo su famiglia, potendosi comprare quasi tutte quelle cose che da bambino o adolescente non ci si poteva permettere, e una volta raggiunto quell’agognato “posto fisso” e quella stabilità in grado di darti indipendenza decisionale, ecco che allora sopraggiunge la voglia di “togliersi qualche sfizio”, quel bias mentale che giustifica l’acquisto pazzo o non necessario agli occhi delle generazioni più anziane, sempre prodighe di consigli e di esperienze personali, e di come la rinuncia li abbia portati ad avere quello che hanno. Anche se a me, quest’ultima parte, è sempre sembrata un ossimoro, ossia “rinunciare per avere”. Sia ben chiaro, non sto dicendo che sperperare è la miglior via per raggiungere un risultato personale, ma che nemmeno vivere una vita di rinunce sia quella giusta per poi godersi quelle poche soddisfazioni quando arriveranno.
Alla fine siamo sempre a questo punto, il dover giustificare acquisti che agli occhi dei più sembrano accessori e privi di senso, ma siccome lo facciamo spinti da una passione che va ben oltre uno sguardo accusatorio o riprovevole, perché la sensazione di soddisfazione che queste compere e questi oggetti ci danno non ha il valore nominale che gli viene attribuito, ma molto di più, lasciandoci comunque quell’altro sentore, quello di avere le mani bucate, segnate da stigmati come dei moderni Pio da Pietrelcina.
Analizzando bene tutta la situazione, non è che la mia passione e infatuazione per i LEGO, per quei maledetti mattoncini, viene proprio dalle mie origini bergamasche, popolo famoso per essere degli instancabili costruttori edili, risvegliando in me questo spirito ancestrale? Ai posteri l’ardua sentenza.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle spese pazze che affrontiamo (o non affrontiamo) per le nostre passioni, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.