Revolution wasn't televised
È finita. Dopo sei anni, il Wii torna nelle scatole da dove è venuto, per essere conservato come cimelio dei bei giorni che furono nelle cantine e nelle soffitte o, nel peggiore dei casi, essere venduto per pochi spiccioli in uno di quei negozi in franchising che tanto disprezziamo. Questo non vuole essere un post d'addio che snocciola fatti, successi e dati del Wii. L'hanno già fatto altrove, con sicuramente più tempismo e probabilmente più capacità e cognizione di causa di quanto potrei farlo io, che col successore del GameCube ho avuto un rapporto travagliato. Quello che voglio fare è capire se il progetto di Nintendo si sia rivelato davvero vincente, al di là dei numeri e dei dati di vendita dell'hardware che gli danno sicuramente ragione. Ovviamente, non posso farlo se non cominciando dalla parola che ha fatto partire il tutto: Revolution. Con questo nome, all'E3 2005, Iwata mostrò al mondo una scheda SIM gigante, dichiarando che avrebbe cambiato per sempre il modo di intendere il videogioco. Solo al successivo Tokyo Game Show, il mondo capì il motivo di quell'affermazione.
Il Wiimote aprì subito una nuova frontiera nelle menti dei videogiocatori. Nonostante fossimo entrati nell'era dell'alta definizione e degli schermi piatti, Wii Sports sembrava non curarsene minimamente, riuscendo a far trasparire già dai filmati quella gioia e quello spirito di competizione che nel giro di due anni avrebbero riempito i nostri salotti. E fu effettivamente così: per mesi, dopo l'uscita della console, le serate videoludiche tra amici non potevano chiudersi senza una partitina a bowling, o a baseball, o a tennis... insomma, l'importante era non toccare il minigioco del golf. E forse Nintendo sapeva che sarebbe successo... no, non l'evitare il golf come un appestato... il successo, dico. Come sappiamo, infatti, la console ha spopolato proprio grazie a chi, solitamente, non considerava il gaming un'opzione valida per passare qualche ora della propria giornata. Nonnine e massaie sono accorse a comprare il Wii proprio perché, come dice saggiamente Ualone qui, tutti i gesti da compiere col Wiimote erano facilmente replicabili da chiunque avesse la cordinazione sufficiente a toccarsi la punta del naso con l'indice.
L'attenzione, inevitabilmente, si è spostata verso quell'utenza, con giochi casual in gran quantità difficilmente accettabili dai giocatori più scafati, che avevano comprato la console attirati da uno Zelda capace di mostrare le potenzialità del gioco "hardcore" col telecomando e che, in fin dei conti, sono rimaste quasi inespresse. Perché una volta consumato il rituale drammatico dell'attesa per il titolo hardcore, il Wiimote non rivelava mai completamente la sua essenza rivoluzionaria, ma riproponeva continuamente l'annoso requiem "ha le potenzialità, ma non si applica". Perfino Nintendo, che di solito valorizza appieno le sue idee mettendo in ombra le terze parti, con Wii non è riuscita nell'intento. Il progetto rivoluzionario, quindi, rimase ancorato al lancio, con Twilight Princess: meccaniche di gioco consolidate e strutture già viste ai tempi del GameCube (o addirittura in contemporanea), questa volta accompagnate da un sistema di gioco sì coinvolgente, ma tutto sommato superfluo.
Perché ripensando a Mario Galaxy, così come a quasi tutti i titoli "hardcore" per Wii, il sospetto che non sarebbe stato poi tanto diverso giocarli con un pad convenzionale rimane. I giochi non guadagnavano molto, oltre a un po' di coinvolgimento e di immediatezza, lasciando la sensazione di innovazione a metà. Intendiamoci, dire che la scelta non abbia pagato Nintendo sarebbe da pazzi: il senso di coinvolgimento e l'immediatezza di cui sopra sono stati determinanti nel successo della console, che permetteva di sentirsi "gamer" anche a chi magari aveva paura a prendere in mano un pad, riuscendo addirittura a piazzargli in casa una console. Wii, sotto questo punto di vista, è stato un successo senza uguali.
Considerando però "l'eredità" di Wii, ossia la grande ondata di motion controller della concorrenza, la sensazione di incompiuto è ancor più evidente. Dopo il successo inaspettato della SIM oversized di Nintendo, la corsa al motion controller è stata dettata più per una volontà di togliere a Iwata e soci la fetta di mercato che si erano creati, che per una reale volontà di cambiare gli standard videoludici. Anche perché, come dimostrato dallo stesso Wii, i giochi "hardcore" non si sposano con quel tipo di controllo... in Donkey Kong Country Returns, ad esempio, un pad normale avrebbe garantito una risposta dei comandi più precisa rispetto al waggle, un po' poco "tight" rispetto alle richieste esigenti dello scimmione in cravatta. Col passare degli anni, Wii ha visto scendere drasticamente il numero di titoli appetibili dai nerd e dagli afficionados dell'idraulico baffuto, che per Move e Kinect non sono mai stati neanche proposti. Se la Revolution si fosse compiuta, probabilmente, a quest'ora staremmo parlando di un mercato tripla A completamente diverso, orientato a farci dimenare come neanche un mese di palestra.
Con l'eventuale successo, Nintendo avrebbe spostato l'interesse dell'intera industria sul suo telecomando, causando un repentino cambiamento di rotta nei progetti di Sony e Microsoft. Invece, anche alla soglia della nuova generazione di console, Move sembra rimanere un vero e proprio "oggetto misterioso", come piace dire ai cronisti sportivi, e Kinect ha un buon seguito, ma è comunque rispettoso degli spazi "hardcore", tanto che nessuno sembra gridare allo scandalo contro i rumor che lo vogliono incluso nel futuro Durango/Xbox 720. Nintendo, dal canto suo, sembra aver consumato l'entusiasmo per la novità, un po' come i fan consumarono le suole virtuali delle scarpe da bowling su quelle piste devastate dall'aliasing.
Con Wii U, le luci della ribalta sono state tolte al Wiimote per essere tutte puntate sul GamePad, che per quanto abbia sei pollici di display nel mezzo, è molto più controller convenzionale di quanto non lo fosse il suo predecessore. Nintendo, con Wii, ha ottenuto esattamente quello che voleva: tirarsi indietro dalla competizione delle console casalinghe offrendo un'alternativa valida, fare tanto margine grazie ad una console dal costo di produzione ridicolo e, collateralmente, stravincere le classifiche di vendita. Tuttavia, l'anima rivoluzionaria che stava alla base del progetto ha faticato ad imporsi, perdendo di fascino dopo poco tempo dalla sua rivelazione e non riuscendo a portare qualcosa di imprescindibile nel mercato, come invece poteva sembrare all'inizio dell'avventura, nel lontano 2005. Il GamePad non dà esattamente l'idea di continuità che ci si poteva aspettare dopo il successo di Wii, e la cosa, anche volendola guardare con la mentalità dell'innovazione da sempre cara alla casa di Iwata, non sembra una scelta vincente.
Anche perché, senza un traino alle vendite, come lo erano il Wiimote e la sua user friendliness, Nintendo rischia di rimanere sul mercato con una console vecchia rispetto alla concorrenza, consumando il vantaggio strategico accumulato grazie ad una scelta, audace ma vincente, che ha raccolto meno seguito di quello che ci si sarebbe potuti aspettare e proponendo una nuova idea che, dopo poche settimane dalla sua uscita, non sembra essere così comprensibile come quella precedente. Come sempre, solo il tempo potrà dirci come andranno le cose. Ma guardando indietro, il pensiero di una rivoluzione compiuta a metà non può che risultare evidente.
Mi piace un sacco mettere titoli che capiscono in quattro. Ringrazio Matteo Puricelli per la consulenza e l'insistenza con cui mi ha suggerito la parola "waggle".