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Yakuza 0 e i boy scout di menare giapponesi

Yakuza 0 e i boy scout di menare giapponesi

Chi frequenta i prodotti di intrattenimento di menare provenienti dal Giappone impara in fretta due regole fondamentali.

  • Un nemico è solo un amico che non hai ancora menato.

  • Se qualcuno ti ha menato, non è lui che è forte, sei tu che non ti sei allenato abbastanza.

A queste due regole, quasi vere e proprie leggi, se ne aggiunge una terza quando i protagonisti di mestiere fanno gli… uh… “Affiliati ad una Alleanza di Cavalleria”

  • “Yakuza” è la parola giapponese per “Boy scout molto tatuato”.

Quello che mette sempre un pelino a disagio i fruitori molto ad ovest della “Terra dove il sole sorge” è il fatto che questo concetto i giapponesi lo sparpaglino in molte opere di prima fascia e non lo limitino, come ci si aspetterebbe, alle romanze dei cantanti neo-melodici di Roppongi.

A livello mondiale, ormai, chiunque ha almeno sentito parlare di Takeshi Kitano, regista ferocemente critico verso la sclerotizzazione del proprio paese ma, forse proprio per questo, molto concessivo, anzi, quasi agiografico nel ritagliare figure di Yakuza di scarsa fortuna, caratura morale discutibile ma insospettabile grande umanità. Personaggi che poi, si tratti del drammatico Sonatine o dell’agrodolce L’estate di Kikujiro, si riserva di interpretare.

Kikujiro: il mio amico yakuza.

Passando dalle immagini in movimento a quelle “movimentate”, i lettori di manga attempati come il sottoscritto ricordano le opere di Ryoichi Ikegami ed il tratto accademico e lezioso con cui ha disegnato mafios… “uomini di parola” apollinei e le loro devote compagne, belle e perfette come i tatuaggi che campeggiavano sulle loro schiene. “Belli e buoni” come da regola atavica, ricattano, sì, minacciano, sì, sono persino killer su commissione, ma sempre con ottimi motivi.

Anche i belli si menano.

Ikegami è però un autore di un certo livello, che ambisce ad un pubblico raffinato: persino quando menano, i suoi protagonisti tengono un certo stile e spesso le cose si risolvono in movenze che paiono una danza, grandi linee cinetiche e spruzzi di inchiostro. Poca soddisfazione, per chi vuole assaporare “il botto di un tipo di cazzotto” (EELST: Luigi il pugilista). Più soddisfazione, certamente, la diede Ryusei il Temerario (Takeki Ryusei) di Tetsuo “Hokuto no Ken” Hara, in cui un ex-teppista giapponese, diventato pescatore per mantenere la sorellona cieca (ovvio), dopo aver affrontato da solo (chevvelodicoaffare) un’intera famiglia yakuza, decide di entrare nella gang di un visionario capobanda di Hong-Kong. Distribuendo quei soddisfacenti cazzotti “sparigliafaccia” su cui l’autore di Ken il Guerriero costruì la sua duratura fortuna.

Se però qualcuno chiedesse a me chi abbia realizzato la più completa sovrapposizione tra “bravi ragazzi” e “Bravi Ragazzi” nel meraviglioso mondo dell’intrattenimento di menare nipponico, la mia risposta sarebbe una: il coreano naturalizzato giapponese Boichi (Mujik Park) con Sun Ken Rock. Il Ken Kitano (cognome che ricorda qualcosa) di Boichi è il classico “normale studente giapponese”: buono fino alla santità; sfortunato in maniera impossibile con la ragazza di cui è innamorato nonostante sia bello, atletico e buono fino alla santità (motivo per cui, invece, qualsiasi ragazza a cui NON è interessato “gliela vuole regalare”); invincibile in qualsiasi combattimento non preveda l’uso di armi anticarro ma leale, coraggioso e buono fino alla santità verso l’avversario sconfitto; a un certo punto, realizza la profonda corruzione del mondo ed essendo determinato e buono fino alla santità, decide di cambiarlo.

Diventando un mafioso.

L’ho detto, che è buono fino alla santità?

Nonostante le premesse, Sun Ken Rock è stato uno spasso sia per la rara capacità di Boichi di non avere alcuna vergogna, sia per la qualità superiore delle mazzate distribuite.

Menare di soddisfazione.

Caratteristica che, dopo una lunghissima premessa della cui utilità dibatteranno i semiologi per anni (spoiler: no), ci porta finalmente a Yakuza 0.

Gli inizi, però, sembrano contraddire i presupposti: tutti noi che abbiamo lanciato il gioco pubblicato da SEGA nel 2015 abbiamo conosciuto Kazuma Kiryu mentre “faceva brutto” sulla faccia di un mingherlino, a cui sottrae dei soldi per poi recapitarli ad un cravattaro. Le mazzate c’erano fin da subito, ma cosa era codesta sgradevole sensazione di infamità latente?

Nel momento in cui ne prendemmo finalmente il controllo, fu ovvio che si era trattato di un incidente. Un errore di gioventù, commesso seguendo le indicazioni di cattivi maestri. Il nostro Kazuma, non importa quello che la trama gli propini (spoiler: un bel po’ di casini), è un bravo ragazzone e non manca di dimostrarlo mentre attraversa in lungo ed in largo il distretto di Kamurocho (Kabukicho nel mondo reale), all’apice della sua peccaminosa fama in questa Tokyo di fine anni Ottanta.

Che sia tallonato dalla polizia o pressato da altri appartenenti alla “famiglia” (ma con le minuscole) che vogliono da lui risposte, parti del corpo o la sua vita, non manca mai di ascoltare le persone che si tormentano dubbiose ad un incrocio, i bambini smarriti e le donne spaventate. Né trascura di insegnare le buone maniere a teppisti, delinquenti, “uomini in nero” e “colleghi” che disturbano i bravi cittadini giapponesi con la loro troppa irruenza. Manca solo che aiuti la gente ad attraversare la strada e il quadro è completo.

Aiutare la gente ad attraversare: lo stai facendo sbagliato!

Quando poi conosciamo Goro Majima nel quartiere “gemellato” Soten-bori (Doton-bori) di Osaka, dissipiamo qualsiasi dubbio residuo: più esperto e navigato, il nostro tatuato ciclope manco cade nell’errore di menare un debole. Nel caso, al massimo, ci gioca al “torello”. Solo le persone violente, maleducate e possibilmente armate costringono questo Bravo Ragazzo, “sospeso dal servizio attivo” dalla famiglia di riferimento, ad una rieducazione a suon di sberle.

Sberle grasse, pesanti, cattive; coreografate con cura certosina, riprese con fanatico dettaglio registico, fino ad inserire nel gioco attivo una quantità di cutscene quasi impressionante. Le tre, quattro, dieci, dodici, VENTI e passa varietà di prese, combo, finisher su nemici a terra scriptate e innescate quando il personaggio ricarica le sue barre “fomento” sono spettacolari, dettagliate, brutalmente fisiche e, contemporaneamente, cartoonesche fin quasi alla parodia.

Per fare male ai nostri avversari, usiamo armi raccolte dalla strada: aste da bandiera, cartelloni normali o luminosi, bidoni della spazzatura, teiere (?), biciclette, scooter e persino moto di grossa cilindrata, che agitiamo come scaccini verso zanzare particolarmente fastidiose. La possibilità di cambiare tra diversi “stili” è poi la ciliegina sulla torta. Mentre al massiccio Kazuma niente si adatta come lo stile Bestiale, lento e pesante mentre incassa palate su palate (spesso non metaforiche), ma fulminante nella sberla che restituisce, il magro e sarcastico Goro danza con lo stile Breaker e induce gli avversari a pestarsi tra di loro mentre cercano di centrare l’elusivo monocolo.

Sembra quasi di essere permeati dallo spirito di Bud Spencer e Terence Hill e, come detto da un collega videogiocatore: “mai visto un gioco che in ogni momento dia così tanto l’impressione di stare facendo DAVVERO MALE”.

Ma DAVVERO male!

Un piacere (nota per le associazioni di tutela della povera gioventù traviata: se volete indignarvi, adesso è il momento giusto) mitigato forse solo dallo sconcerto di vedere che gli avversari, al termine del trattamento, non solo respirano ancora ma riescono pure a proferire qualche parola di scusa.

Insomma, in quanto a “Giappone di menare” a Yakuza 0 non gli si può dire davvero nulla e tocca fare spallucce a questa trama (peraltro supportata da una solida sceneggiatura e dialoghi tagliati con il cesello), che ci fa vedere quanto questi due “Bravi Ragazzi” finiti “fuori dalla Famiglia”, in fondo, ci soffrano.
Devono servire minestre di pugni non perché vogliano (uh… ) ma perché incastrati da yakuza “brutti”, da yakuza che mettono la loro carriera di fronte al bene della famiglia e del popolo tutto. Da yakuza, peraltro, che rappresentano la più bella collezione di cattivi-cattivi carismatici io abbia mai visto fuori da un (buon) film. Meravigliosi tutti nel loro essere arroganti, viscidi, feroci, machiavellici, fuori di testa o semplicemente orrendi.

Ragazzi… voi non sapete quanto ami odiarvi!

Quasi mai “nemici”, che altrimenti poi diventano amici (#regolauno), ma grandiosi ostacoli da superare menando le mani. Per il futuro, per le persone da proteggere, per LA FAMIGLIA!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Devil May Cry e alle pizze in faccia alla giapponese, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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