Forbidden Siren (gomito a gomito con) quella roba là | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Subito mani avanti: da qualche giorno concentrami mi riesce difficilissimo per colpa di, beh, lo sapete, quella roba là, e non mi sento di garantire sulla decenza di quello che leggerete. Per metà del tempo, provo ad esorcizzare sparando cazzate a raffica sia online che dal vivo (sempre a un metro e rotti di distanza dal primo malcapitato), mentre durante l’altra metà sono preda di menate e pensieri ossessivi che rimettono in discussione alcune delle scelte che ho fatto, non tanto durante le ultime tre settimane, ma addirittura gli ultimi anni. Su tutte, quella di aprirmi alla socialità e ai rapporti umani, ché se avessi seguito fino in fondo la via dell’hikikomori, a quest’ora sarei corazzatissimo, organizzato, impenetrabile.
Blindato in casa senza nessun contatto con l’esterno, pronto a gestire la qualsiasi direttamente online e a godere dell’unica cosa positiva di tutta faccenda: la stasi. Quello stato di fermo obbligatorio che tra qualche mese (settimana? Giorno? Ora? Aiuto!) spazzerà via la nostra economia, ma che al momento costituisce per molti l’unica opzione possibile, assieme a quel po’ di lavoro in remoto rimasto da sbrigare.
E capisco che c’è pure gente che sbrocca a stare ferma in casa ma, per quanto mi riguarda, ho solo l’imbarazzo della scelta, tra i millemila contenuti tipo videogiochi, film, libri, il cazzo, offerti da altrettanti servizi ai quali continuo bovinamente a versare l’obolo.
Ma torniamo a quell’istinto da hikikomori. Lo avessi seguito, a questo punto sarei perfettamente affilato per gestire l’emergenza, tipo quei tizi un po’ sfigati delle storie di zombi e cose così. Ma purtroppo, quell’istinto non l’ho seguito, mi sono impantanato in relazioni e nemmeno mi è riuscito di disimpegnarmi affettivamente dai miei familiari, e oggi mi ritrovo pieno di porosità davanti all’emergenza. E mi preoccupo, mi agito, bisticcio, tribolando di non poter controllare tutti quanti col joypad per far girare le cose come dico io.
Così, mi metto lì e controllo gli omini di Forbidden Siren, che mi sono scaricato qualche sera fa, per poco meno di dieci sacchi, dopo una vita e mezza che non lo avvicinavo (fatta eccezione per quella specie di remake uscito per PlayStation 3).
Essì che ai tempi di PlayStation 2 lo avevo apprezzato parecchio, Forbidden Siren, e ancora lo considero uno tra i survival horror più spaventosi mai usciti. Un po’ per l’ambientazione, una cittadina sperduta nella campagna giapponese che si affranca dalle varie Raccoon City/Silent Hill per affacciarsi a quel filone J-horror sbarcato dalle nostre parti dopo il successo (del remake) di The Ring e compagnia. Ma anche un po’ dopo Kill Bill, che aveva convinto un sacco di gente non necessariamente nerd a prendere un aereo per Tokyo e a tornarsene a casa con la borsa piena di DVD bizzarri con su i nomi di Takashi Miike, Kinji Fukasaku o Hideo Nakata.
Di nipponico, in Forbidden Siren, ci sono le architetture, i personaggi, le atmosfere e, ça va sans dire, il team di sviluppo. Quel Project Siren cresciuto in seno a SCE Japan Studio e capitanato da Keiichirō Toyama, che appena una manciata di anni prima aveva fatto il botto con Silent Hill.
Da quell’esperienza, Toyama si era portato dietro la pioggia, la nebbia e le atmosfere allucinate, nonché la mitologia complottara a base di sette ed evocazioni demoniache. Proprio su quello aveva stabilito un gameplay corale, spalmato su dieci personaggi e agevolato da un montaggio non sequenziale, oltre a tutta una serie di trovate che ne inclinavano pesantemente le meccaniche da survival horror (genere relativamente giovane ma già imbolsito per la troppa usura) verso lo stealth.
Mi riferisco al level design altamente geometrico e all’intelligenza artificiale degli shibito (che paiono usciti da un manga di Junji Itō), ma soprattutto al sightjack, una meccanica di vantaggio che permetteva al giocatore di leggere lo scenario dal punto di vista dei vari mostroidi, ma che al contempo funzionava da catalizzatore di tensione .
Ma non solo. Era sempre il sightjack che scandiva il ritmo di gioco e invitava ad affrontare il cammino con calma, investendo sulla pianificazione, piuttosto che sull’azione sparata, donando all’esperienza una profondità rara per il genere. Profondità che, ahimè, non è servita a fare tirare in là la serie. Dopo il sequel del 2006 e il suddetto semi-remake del 2008 (che comunque ingentiliva parecchie soluzioni dell’originale), si è arenata, forse anche in via della direzione action tracciata da Resident Evil 4, vai a sapere. Ciò nonostante, Forbidden Siren resta un gran pezzo di gioco e, se avete voglia distrarvi dal clima allucinato di questi giorni fiondandovi in qualcosa di persino più allucinato, dargli una chance potrebbe non essere la peggiore delle idee: come ho detto, sta su PlayStation Store, viene via per poco e, a differenza di me, non è invecchiato male. Giuro!
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai vent'anni di PlayStation 2, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.