Outcazzari

Racconti dall'ospizio #143: PC Kid, PC chi?

Racconti dall'ospizio #143: PC Kid, PC chi?

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

PC Kid, anche noto come PC Genjin, Bonk’s Adventure, FC Genjin, BC Genjin, BC Kid. Tecnicamente era la mascotte del PC Engine, ma per me è la mascotte del non capire un cazzo di versioni e conversioni prima dell’avvento di internet. Lo vidi per la prima volta su Game Power, la mia rivista preferita, nella sua versione giapponese, ossia PC Genjin: era un gioco strano, con sprite così grandi che permettevano l’uso di espressioni in tutto e per tutto simili ai cartoni animati che guardavo su Junior TV. Bello! Ricordiamo, per chi ci segue da fuori dall’ospizio, che una volta avere gli sprite grandi era un grande indice di prodezza tecnica, insieme ai livelli di parallasse e ai colori contemporanei su schermo.

In Game Power, sotto al commento, c’era un box più o meno inutile che elencava su una foto del controller i comandi del gioco. Normalmente lo ignoravo bellamente, ma nel caso di PC Kid rimasi a guardarlo affascinato, perché era un controller diverso da quelli a cui ero abituato, ossia quelli di Master System, NES e Megadrive. Era un controller che sapeva di importazione, di underground, di esotismo. Ai tempi non sapevo che il nipponico PC Engine era uscito in Europa e in America come Turbografx 16, quindi mi sembrava di vedere un mondo parallelo, dove i bambini avevano giochi altrettanto belli, ma diversi. A distanza di venticinque anni, dopo tutto il retrogaming nipponico che mi sono sparato, posso dire che era l’intuizione giusta. Il Giappone esisteva ed era bellissimo, ma a noi arrivava a goccioline, distillato dalla sensibilità occidentale e/o dai ritmi di un mercato ancora giovanissimo.

La seconda volta che vidi PC Kid si chiamava BC Kid ed era su Amiga, in una conversione pubblicata da una Ubisoft che si firmava ancora “Ubi Soft”. Ero confuso, perché da quel che avevo capito, il simpatico cavernicolo dentone era l’equivalente di Sonic e Mario per NEC, e mi sembrava stranissimo vederlo su un computer di casa Commodore. Eppure era lì, ed era bello, difficile e pieno di segreti. Non ho mai imparato a giocarci, perché l’Amiga era di un mio amico al quale il gioco non piaceva per niente. Preferiva The Blues Brothers, e ho detto tutto.

Quando è arrivata l’era di internet, degli emulatori e dei siti champagne da cui scaricare le rom, ho deciso di recuperare tutto ciò a cui avrei voluto giocare da bambino ma non avevo potuto. Mi sono fatto un clistere di Super Nintendo, assumendo per via direttissima Super Mario World, A Link to the Past e altri sei chili di capolavori Nintendo. Poi mi sono tuffato nel mondo del PC Engine, scoprendo un catalogo destabilizzante, pieno di giochi difficili ed esteticamente spiazzanti. Fu in quell’occasione, cercando PC Kid, che scoprii che si chiamava anche Bonk’s Adventure (il nome con cui era uscito su Turbografx 16), e che aveva ben due seguiti, uno più bello dell’altro.

La prima era dell’emulazione fu però un momento di grande bulimia retroludica. Dopo anni di penuria di giochi, all’improvviso avevamo TUTTO a portata di mano. Tutto, tutto, inclusi i giochi strani “di importazione” e quelli rari/costosi/che non arrivavano nei negozi. E quindi, dopo qualche minuto di Bonk, ero già pronto a passare a Toilet Kids, poi a Bomberman, poi a Final Fantasy VI su Super Nintendo. C’è voluto il retrogaming moderno, quello che faccio in streaming su Kenobisboch, per dedicare un po’ di tempo a PC Kid, ed è stato tempo ben speso. Il gioco è più spigoloso rispetto a quello che reputo il gold standard dei platform, ossia quello Nintendo, ma è anche una costante sorpresa, piena di segreti, trappole buffe e idee di design coraggiose.

Credo che il futuro mi riservi un altro momento con il cavernicolo di NEC. Quando all’ospizio ci sarò davvero e avrò più tempo da gettare nel bellissimo cesso nipponico del PC Engine, probabilmente imparerò a finirlo, a conoscerlo e ad amarlo come merita.

Questo articolo fa parte della Cover Story “Jurassic Outcast”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Jurassic Park: il kaiju eiga americano

Jurassic Park: il kaiju eiga americano

Detroit: Become Human è Quantic Dream all'ennesima potenza

Detroit: Become Human è Quantic Dream all'ennesima potenza