Il fascino dell'ingenuità di Shining Force è ancora splendente | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Ogni tanto mi sale la mania del recuperone.
Per moltissimi anni ho avuto solo console Nintendo. Direi fino all’epoca PS3, acquistata da mio padre come ingombrante lettore Blu-Ray; lo stesso genitore che aveva un NES prima della mia nascita e che mi ha praticamente svezzato con Super Mario Bros., Super Mario Bros. 3 e Paper Boy.
Tra le mie “mancanze”, insomma, c’è stata gran parte dell’altra metà del cielo della “silver age” del mondo console, quei titoli Sega di cui leggevo in alcune riviste e che avevo visto far capolino anche sul mio amato GameCube e il mio adorato Game Boy Advance. Qualche amichetto delle medie aveva un MegaDrive - avevo provato Ristar, secondo il mio amico, il perfetto rivale di Donkey Kong Country - ma è stato proprio tra le righe di Nintendo Rivista Ufficiale e gli scaffali di negozi nel cuore di Napoli che vedevo spuntare i vari Sonic Adventure 2, Phantasy Star Online e Shining Soul.
Insomma, di tanto in tanto decido che è doveroso saltare nel passato e provare i giochi di una volta a cui non ho mai giocato prima. La chiamo “operazione culturale”, ma è molto più sincero ammettere che è più un mettere a tacere un grillo parlante che somiglia a una FOMO ironicamente rivolta a un passato che fu.
Tra questi “pruriti”, uno dei più forti è sempre stato la serie di Shining. Mi piacciono i dungeon crawler di una volta, mi piacciono da impazzire i tattici a turni in salsa jappa - mi sto gustando Triangle Strategy, mica per caso - e quindi, insomma, cosa c’è di meglio di una serie che ha entrambe le filosofie di gioco? Armato di Switch e della ormai onnipresente Megadrive Collection, un giorno mi sono insomma deciso a provare Shining in The Darkness e Shining Force.
Peccato che Shining in The Darkness sia davvero invecchiato di merda e, a parte un lato audiovisivo e alcuni sprite ancora fantastici, è davvero di quei titoli che richiedono carta e penna per districarsi tra corridoi fin troppo simili tra loro.
Shining Force, invece, è quel tipo di gioco le cui rughe, seppur evidenti, sembrano quasi aumentarne il fascino. In un mondo di Ogre Battle, Final Fantasy Tactics e Disgaea, potrei quasi dire che se Fire Emblem su NES è stato il Paranoid del genere, Shining Force è stato il suo Master of Reality. Tactics Ogre è il suo Heaven and Hell, e sono pronto a fare a botte per difendere questi paragoni.
Parlo ovviamente in termini di goduria pura e influenza sul genere a venire, non tanto nel mood. Anzi, nonostante Shining Force sia la solita - anche per l’epoca! - storia di un eroe prescelto che con gli amici deve sventare la fine del mondo, c’è una sottile vena di giocosa ingenuità che rende il gioco di quelli che poi saranno i Camelot (all’epoca Sonic! Software Planning) irresistibile.
Nonostante l’imminente distruzione dell’umanità, zeloti invasati di un dio malvagio e persino drammatici momenti nella storia, c’è qualcosa tra quegli sprite giganti - e MERAVIGLIOSI - e le bellissime musiche che fa capire che Shining Force sa prendersi tanto sul serio quanto in giro da solo.
Nel suo essere per nulla bilanciato - alcuni personaggi reclutabili sono fondamentalmente inutili e alcuni forti arrivano troppo tardi nella storyline - e nel proporre alcuni combattenti improbabili, tra cui il castoro Jogurt e l’armadillo meccanizzato Guntz, Shining Force riesce sempre a regalare battaglie epiche e godibilissime sin dall’inizio del gioco.
Epiche sia nella scala, perché spesso in inferiorità numerica nonostante il nutrito numero di comprimari da schierare, che nel pathos, con nomici fortissimi da raggiungere tra mare di minion comunque pericolosi. Che anche negli scenari, perché - come il nostro amato Chrono Trigger - tutto avviene nello stesso overworld che si è liberi di esplorare.
La vera differenza filosofica di Shining Force, al di là delle diversità nel combat system e nell’assenza del triangolo delle armi, rispetto al più noto Fire Emblem è soprattutto qui: lì dove la serie Nintendo ti mette davanti a una serie di scontri, con ben poche possibilità esplorative (all’epoca del tutto assenti, a dirla tutta), il gioco Sega per certi versi è molto più affine alla classica progressione da JRPG. Il protagonista Max e il suo party viaggiano tra più villaggi, parlano con diversi NPC, acquistano e vendono item nei negozi, girovagano per la mappa per risolvere sia la missione principale che subquest in grado di portare ad armi o personaggi segreti. E al momento degli scontri, tutto avviene nelle stesse mappe cittadine o nei campi in cui prima si camminava, dialogava, esplorava. OK, non in maniera così “smooth” come con Chrono Trigger, ma comunque giovando al ritmo del tutto e dando così anzi maggior peso a eventuali cambiamenti che le scene non interattive apportano alle mappe.
E poco conta se certe cose non hanno un vero e proprio perché, tipo un calamaro volante che è però fortissimo nell’uso delle magie e fa parte della tua banda di comprimari, o come un centauro elfo abbia un bazooka mentre il resto del mondo sia fermo a spade e scudi. Shining Force, molto più del successore che introdurrà una natura più “open” al tutto, è un gioco estremamente diretto e con un chiaro e preciso intento di design: coinvolgere il giocatore e fargli vivere esperienze fantasticamente drammatiche e/o fantasticamente esagerate. Poco conta se il world building a volte va a farsi benedire o ci sono delle asperità nella gestione della curva di difficoltà. Fin dai primissimi minuti, sei dentro la battaglia, nel far crescere un gruppo di ragazzini in guerrieri portentosi. Irresistibile nel suo essere così naif, ti porta a spolparlo quasi come fosse un titolo arcade di cui vuoi conoscere i trucchi per battere ogni high score.
Anche se a dirla tutta c’è un momento di “quasi maturità” in Shining Force, proprio nel suo finale. Il giocatore/avatar ha una magia, Egress, che gli permette di abbandonare il campo di battaglia - magari da una sconfitta imminente, per poter ricomporre le forze e riprovarci. Una magia di utility che può essere persino sfruttata per livellare “a sbafo” e rendere molto più malleabili gli scontri (l’esperienza guadagnata in battaglia, infatti, resta). Ma ecco, proprio nelle scene finali, quando l’eroe/avatar sigilla il Dark Dragon e tutto il castello intorno a lui crolla, questi, utilizzando la magia Egress - in una scena purtroppo non interattiva - mette al riparo i suoi compagni di avventura, teletrasportandoli al riparo dalle macerie. Una magia che per decine di ore è sempre e soltanto stata un elemento “acquisito”, presente fin dal principio per operare come puro elemento di gameplay, diventa una parte centrale della storyline, improvvisamente, senza alcuna aspettativa in un gioco che fin da prima ha fatto del suo essere diretto e quasi prevedibile il proprio tratto. Inaspettato sia per il gioco in sé che per l’anno di uscita, il 1992.
Insomma, Shining Force è un gioco che secondo me vale la pena scoprire o riscoprire, ancor più se siete fan dei tattici a turni. Mancano certamente tante finezze e tanti elementi aggiunti nel tempo sia da Fire Emblem che da tanti altri esponenti del genere, eppure le battaglie regalano quella sana dose di grattacapo che tanto piace a chi adora i tattici a turni in salsa JRPG. Il sequel, Shining Force 2, se da un lato espande e migliora il gameplay e la crescita del party, rendendolo più profondo, dall’altro forse perde un po’ quel fascino ingenuo che tanto mi ha attratto nel primo Shining Force.
Poi è bellissimo vedere quali e quanti elementi sono diventati punti fermi dei successivi giochi di Camelot, dai vari ibridi sportivi/ruolistici per Game Boy ai tanto amati Golden Sun.
Insomma, Shining Force ha, insieme a Fire Emblem e al primo Tactics Ogre, gettato le basi per molti dei giochi che io e tanti come me amiamo adesso. Scoprirlo è stato un piacere e non vedo l’ora di barcamenarmi per recuperare anche Shining Force 3, su cui sento faville un po’ ovunque. Il primo Shining Force è recuperabile anche senza emulazione un po’ ovunque, grazie alla onnipresente Megadrive Collection e persino nel servizio Switch Online nella versione “plus”. E, prersonalmente, ritengo che la versione “fast forward” di queste collection moderne aiuti parecchio nel velocizzare le animazioni di battaglia che, per quanto magnifiche, a volte sono un po’ troppo lente.