Tsukihime: io i giapponesi non li capisco | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Se dovessi indicare una data precisa, non ci riuscirei: diciamo tra i quindici e i vent’anni fa, nei forum di nerd che frequentavo, in particolare quello del “webmanga gaijin” MegaTokyo (Nota di servizio: Fred Gallager però chiudiamola anche, ‘sta storia, che crepare senza sapere come finisce mi dispiacerebbe) periodicamente compaiono immagini di una classica “Yamato Nadeshiko” (bellezza giapponese ideale) e due cameriere gemelle vestite una in abiti da domestica europea, l’altra in abiti tradizionali.
Il tratto è banale, ma c’è qualcosa (oltre l’ovvio elemento di seduzione) ad attirarmi. Innanzitutto la notevole varietà di interpretazioni che fa intuire fin da subito un franchise piuttosto vasto, e una notorietà che stimola centinaia di illustratori amatoriali e semi-professionisti ad omaggiare queste figure. Al tempo avevo ridotto parecchio la mia frequentazione con gli anime, ma in compenso ero infognato come non mai con i manga (ora invece sto infognato di nuovo ben bene con tutte e due le arti), quindi trovavo strano che questi personaggi non fossero mai entrati nel mio radar.
Ovviamente mi informo e, altrettanto ovviamente, faccio la figura del provincialotto: presso la nicchia di otaku occidentali, Tsukihime (Principessa Lunare) era il cult di inizio millennio anche grazie alla traduzione amatoriale.
Ancora adesso, mentre ne scrivo, sento distinto il rumore dei miei neuroni (tutti e due, sì) che si inceppano cercando di far collimare “cult di inizio millennio” con “traduzione amatoriale”.
Insomma, arrivando rapidamente al punto (e sicuramente esponendo il fianco a precisini e adepti di varie scuole che alzeranno il ditino dicendo “non è esattamente così”) se oggi: A.D. 2021, da almeno dieci anni noi gaijin siamo avvezzi al termine “Visual Novel” (ed “Eroge”, incidentalmente), in parte non trascurabile questo lo dobbiamo alla modesta avventura grafica che due creativi miei coetanei, Kinoko Nasu (scrittore) e Tomotaka “Takashi” Takeuchi (Character Designer), riunitisi sotto il nome di TypeMoon, portarono in poche centinaia di copie alle edizioni 1999 e 2000 del Comiket, la più grande fiera di produzioni amatoriali “nerd” e cosplay al mondo.
Come si dice in questi casi “il passaparola ha fatto il resto”; le ristampe di un prodotto amatoriale fatto con un motore software da cestone del supermercato (nScripter) vendettero come il pane, e torrenti e micini (voi sapete di cosa parlo) si riempirono di copie.
Un gruppo di fansubber si riunì sotto il nome di MirrorMoon e, complice il motore software privo di protezioni, lavorò a tappe forzate per rendere disponibile la traduzione in inglese.
Dal momento che nonostante l’hype, Typemoon non mostrò alcun interesse per diffondere il suo prodotto fuori dai confini del proprio paese.
La frase che si sente in questi casi è una variante di “chi non è giapponese non può avere interesse per queste cose”, e la cosa che fa sorridere è che non viene detta con spocchia, ma con varie sfumature che vanno dal colpevole imbarazzo di chi non può soddisfare la tua richiesta fino all’incredulo fastidio di chi è stato beccato con un libro di miniature erotiche in bagno.
La cosa che fa ancora più sorridere, è che tale convinzione non ha mai avuto alcuna aderenza con la realtà.
Certo, ragionando in termini di puro “mercato potenziale” è lecito pensare che una localizzazione ufficiale non avrebbe mai raggiunto le cifre dell’incredibile mercato interno (ricordiamo che il Comiket è una fiera da 500.000 presenze a edizione, ed in Giappone non è inconsueto avere tirature di decine di migliaia di copie per prodotti amatoriali), ma è un dato di fatto che un non giapponese di motivi per interessarsi a Tsukihime ne abbia parecchi.
Merito sicuramente del signor Kinoko Nasu: sceneggiatore di razza che in relativamente poche opere arrivò a definire una realtà narrativa coesa soprannominata con molta proprietà “Nasuverse”, in cui far muovere personaggi in qualche misura inediti.
E merito anche del sodale Takeuchi che, nonostante lo stile grezzo e lineare, riuscì a creare volti spaziosi e occhi banalmente grandi che però, quasi come lenti amplificatrici (o deformanti) nei momenti topici facevano esplodere la natura profonda dei personaggi con il solo cambio di un colore o di una campitura.
Fin dal loro esordio con la serie di romanzi illustrati Kara no Kyoukai (Il confine del vuoto) - Garden of sinners i due delinearono in relativamente pochi capitoli il più classico universo alternativo da serie supereroistica in cui la vita quotidiana come la viviamo tutti convive con tutte quelle cose che immaginiamo muoversi appena fuori il nostro campo visivo: società di maghi, umani ibridati con demoni, persone maledette da abilità sovrumane, licantropi, vampiri, ghoul, fantasmi e, ovviamente, la Chiesa Cattolica in veste di superpotenza occulta in attrito con tutto ciò che profuma di eresia.
In questo scenario fittizio piuttosto banale e certamente facile da comprendere anche per un non giapponese, fecero di ogni loro personaggio un “normale titano”.
Dovessi dire quale è il vero punto di interesse di Tsukihime, e di tutto il Nasuverse precedente e successivo, sicuramente lo individuerei in come Kinoko Nasu riesca a farti appassionare di personaggi che impongono il primato dell’etica sulla morale in un curioso sincretismo tra il fatalismo orientale e l’individualismo occidentale.
Senza spoilerare troppo è bene sapere che nessuno dei protagonisti di Tsukihime può essere definito “buono” secondo una qualsiasi morale.
A partire dal protagonista, il “Normale Studente Giapponese con il potere di uccidere qualunque cosa” Shiki Tohno, in ognuno dei personaggi principali alberga un mostro tanto più orribile quanto più il personaggio appare innocuo.
A contenere, o indirizzare, il mostro si ergono volontà ferree nel perseguire quello che è un “destino accettato” mentre, semplicemente, vivono.
Tra i personaggi, quella più appariscente è ovviamente Arcueid Brunestud, la bionda e svagata principessa immortale che, fin dalla sua nascita, è stata destinata a non essere nient’altro che un’arma teleguidata per uccidere i vampiri fuori controllo, e che per incolpevole responsabilità di Shiki si trova a scoprire le gioie di una vita “quotidiana” (o “debole”) sapendo che finirà prestissimo. Assaporandola con una gioia che trascina.
Ma ciascuno dei personaggi femminili (ricordiamo che si tratta pur sempre di una visual novel erotica) raccontati nelle cinque iterazioni narrative divise tra “Faccia vicina” e “Faccia lontana” della Luna eponima, arriva a toccare il cuore del giocatore. Di qualsiasi nazionalità esso sia.
A partire dal tutt’altro che immeritevole protagonista, con cui per una volta è piacevole immedesimarsi,pur essendo relegati in un ruolo di spettatori, ogni personaggio ha un’apparenza fortemente caratterizzata che quasi sempre contraddice sentimenti profondissimi e genera uno sviluppo in qualche modo epico, drammatico eppure “quotidiano”.
Le scene madri che oppongono, come dicevo, dei veri e propri titani tra i mortali, lasciano spazio a momenti di serena malinconia paragonabili ad una pièce teatrale in cui un’amata racconta al suo uomo come sia venuta a patti con il male che sta per ucciderla.
Come dicevo, impossibile non essere interessati.
Il meritato successo diede vita ad un vero e proprio franchise con una pletora di spin-off (tra cui il sequel Kagetsu Toya e l’ottimo quanto ciarlatano picchiaduro 2D Melty Blood), una serie animata del 2003 che, per la regola del divario tra aspettative e realizzato, verrà consegnata agli annali come una merda inguardabile pur essendo solo mediocre, ed un ottimo manga del 2010 (recensito sul miglior sito di critica fumettistica in tutto il Nasuverse) la cui unica “colpa” sarà affrontare solo la prima delle cinque “route” narrative.
Nel 2004 TypeMoon espanderà ulteriormente il Nasuverse con la Visual Novel Fate/Stay Night e, a dirla in maniera gentile, spaccherà ancora di più il culo all’internet e verrà fiondata, convenientemente depurata di tutte le parti dove i protagonisti “giacciono biblicamente” insieme, sulle console Sony dell’epoca per dare quindi vita a un numero ancora più imbarazzante di spin-off per ogni genere videoludico giocabile su ogni piattaforma esistente.
Solo del gioco principale verranno fatte tre serie animate e tre film, dei “collaterali” legati agli spin-off si perderà rapidamente conto.
Di tutto questo ben di dio, a cominciare dallo spin-off Fate/Extra per PSP, una parte verrà timidamente indirizzata ai mercati esteri imbottendo ulteriormente il conto in banca dei due reticenti ex-dilettanti che non credevano (e sono convinto non credano tutt’ora) che il loro prodotto potesse riscuotere interesse fuori dal Giappone.
Io i giapponesi non li capisco.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Meglio tardi che mai”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.