In Dante's Inferno c'erano davvero i cazzi? | Racconti dall'Ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Volevo discutere un attimo con voi sul significato della parola "americanata" e sull'opportunità di utilizzarla in riferimento a un prodotto d'intrattenimento.
Innanzitutto, vale la pena di sottolineare che la parola esiste, e che Treccani la definisce così:
Azione da americano; per lo più scherz., riferito a cosa o impresa eccentrica, sorprendente, esagerata e talvolta un po’ pacchiana, in base all’immagine stereotipata dei modi e delle manifestazioni in uso negli Stati Uniti d’America
È corretto a questo punto chiarire il significato di "pacchiano", che dei termini utilizzati è quello più nebuloso e dalle origini più confuse. Sempre la famosa enciclopedia scritta dai migliori amici dell'uomo ci dice che "pacchiano" è
pacchiano agg. e s. m. (f. -a) [voce merid., di etimo incerto]. – 1. s. m., merid. Contadino, villano; per lo più al femm., contadina nelle vesti tradizionali, colorate e vistose. 2. agg. Per estens., nell’uso com., privo di buon gusto e di stile, vistoso, grossolano: un individuo p.; un vestito, un arredamento p.; una decorazione pacchiana.
Un'americanata è dunque una cosa o un'impresa che è eccentrica, esagerata e priva di buon gusto, vistosa e grossolana ma anche sorprendente; il termine, che riflette la vulgata italiana riguardo al popolo a stelle e strisce, ha dunque in origine un'accezione non del tutto positiva, ma non è nemmeno quella condanna alla pubblica gogna nella quale è stato trasformato da anni di abuso lessicale da parte di certa critica, soprattutto cinematografica.
Premesso tutto ciò, posso affermare senza sentire alcuna necessità di spiegarmi o giustificarmi che Dante's Inferno, del quale oggi si festeggiano i dieci anni, è un'americanata talmente grossa da trascendere nell'archetipico, forse la definizione stessa di "americanata". Uscito nello stesso anno di God of War III ma con qualche mese di anticipo, preceduto dalla più classica delle mega-campagne di marketing virale che si tirano in piedi per spingere un prodotto che a conti fatti ha bisogno di sostegno esterno per reggersi in piedi, è quello che succede quando una persona vede questa famosa vignetta dei fratelli Mattioli e decide che è l'idea migliore di sempre:
e questa persona, o gruppo di persone, in realtà, è americano, e dunque "eccentrico, sorprendente, esagerato e talvolta un po' pacchiano". Nello specifico, parliamo dei simpatici regaz dell'ormai defunto studio chiamato Visceral Games, una sussidiaria di Electronic Arts che si fece un nome soprattutto con la trilogia di Dead Space. Ora, chiunque abbia giocato a Dead Space sa benissimo che la definizione "eccentrico, sorprendente ecc" si applica alla perfezione al franchise, che è un rip-off a sfondo quasi-religioso di Alien, tutto basato sul fatto che si possono smembrare selettivamente gli alieni cattivi. OK, sto semplificando, e non vorrei che sembrasse che ho qualcosa di brutto da dire su Dead Space; anzi! Era sicuramente una roba esageratissima, ma perfettamente in linea con il suo modello di riferimento, oltre ad essere un ottimo gioco e un'esperienza genuinamente inquietante.
Il modello di riferimento di Dante's Inferno è la prima cantica della Divina Commedia e, se da un lato è vero che parliamo di un'opera che non si risparmia dettagli disgustosi, violenza e cattiverie di ogni genere, dall'altro sono ragionevolmente certo di non aver mai letto le terzine in cui Dante si descrive come una specie di templare seminudo tatuato e grossissimo che usa la falce della Morte per fare a pezzi centinaia di demoni e altra aberrazioni infere, e sono sicuro al 100% che l'Inferno che ho letto a scuola contenesse molti, molti, molti meno cazzi, tette, fighe, culi. Non so esattamente cosa sia che mi porta a collegare automaticamente Dante's Inferno al concetto di "cazzi, tette, fighe, culi", soprattutto considerando che il visual designer è Wayne Barlowe, uno fra gli artisti migliori al mondo e del quale almeno Expedition è un'opera imperdibile; so che quello che mi ricordo quando ci ripenso è una versione di God of War che oscilla tra il supersexy e il tentacle porn, ancora una volta non per forza quello a cui si pensa quando si pensa a Dante.
Ma il gioco, poi, com'era? Fin qui ho parlato di cazzi, il che potrebbe forse dare un indizio? In realtà sono troppo severo: in un'epoca di cloni più o meno interessanti di God of War (El Shaddai tra i primi, Splatterhouse tra i secondi), e quindi in realtà di cloni di Devil May Cry con un pizzico di componente avventurosa in più, Dante's Inferno si collocava diciamo a metà scala, non un disastro ma neanche nulla più che un'esecuzione competente e blandamente divertente di una formula collaudatissima – erano anni in cui se non includevi una sequenza con un ascensore lentissimo e lunghissimo e orde di nemici da massacrare durante il percorso non eri nessuno, non venivi invitato alle feste, per strada ti tiravano gli ortaggi, e ovviamente Dante's Inferno ne aveva una, come aveva le obbligatorie sequenze platform, qualche puzzle tra l'elementare e l'offensivo e persino un sistema di "moralità", che si riduceva di fatto alla scelta tra quale dei due rami dell'albero delle abilità portare avanti.
Poi certo, era pieno di botte! Si menava veramente molto e si spappolavano molte teste. Diciamo che, in una scala da 1 a menare molto, Dante's Inferno si posiziona all'altezza di menare moltissimo, anche più in alto del coevo God of War III, seppur ovviamente non con quella qualità. Scelta saggia, visto quanto funzionano le sequenze in cui non ci sono le botte, o forse è una direzione artistica precisa, un tentativo di far perdere il giocatore nel flusso delle mazzate e farlo immergere nelle splendide cornici disegnate da Barlowe, cazzi o non cazzi (ma poi, c'erano davvero tutti questi cazzi? Scusate se continuo a chiederlo ma non riesco a pensare ad altro). Sulla già accennata qualità delle botte, invece, non mi esprimo oltre: tutto quel che ricordo è un sistema di controllo ragionevolmente intuitivo e un protagonista che rispondeva ai comandi con precisione più che adeguata.
In ultima analisi, credo che Dante's Inferno sia un caso clamoroso di videogioco che oggi nessuno si sognerebbe di produrre, non tanto perché shockante o davvero di cattivo gusto – sangue, budella, genitali e tutte le altre amenità che decorano l'Inferno di Dante's Inferno sono usati in modo talmente caricaturale, e in tali parossistiche quantità, che non riescono a suscitare alcun disgusto, al massimo strappare una risata –, quanto perché figlio di un'era in cui si investiva con gioia in progetti di questo tipo, brevi avventure single player più o meno scopiazzate da un modello di riferimento ben noto e pensate per essere consumate nel giro di un weekend, ma comunque pagate a prezzo pienissimo perché figlie di un budget gonfiatissimo. Sia chiaro che non è un giudizio di merito, non voglio esprimere un'opinione sull'argomento né dire che si stava meglio quando si stava peggio.
Quello che vorrei sapere, piuttosto, è se in Dante's Inferno c'erano davvero tutti questi cazzi.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Febbraio bizarro”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.